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Per una doppia moneta

Ripubblichiamo un articolo del 2004 che riteniamo di incredibile attualità nell’attuale contesto economico.

di Lanfranco Caminiti (10 Luglio 2004)

In un libro da poco pubblicato, l’economista Benjamin Cohen [University of California, Santa Barbara] si interroga sul «futuro del numero delle monete». Esiste una tesi «riduzionista» in merito: essa considera inevitabile la riduzione del numero delle monete, per la quale giocherebbero le economie di scala e l’erosione della sovranità nazionale connessa alla liberalizzazione della finanza. L’introduzione dell’euro, con la costruzione di un’area politico-monetaria enorme nonostante la «frammentazione» nazionalistica, ne sarebbe un vistoso esempio. Ma Cohen non è d’accordo: è vero che dal punto di vista della «domanda» [cioè, di chi la usa] si va verso una riduzione del numero delle monete, ma è altrettanto vero che chi la «offre», cioè gli Stati, sono interessati a avere una propria moneta, per la possibilità di una propria politica valutaria e monetaria. Come per le lingue ci saranno poche «lingue che contano», così per la moneta ci saranno poche «monete che contano» [dollaro, yen, euro], ma non mancheranno mille lingue e mille monete. [Benjamin Cohen, The Future of Money, Princeton University Press, 2004 – Fabrizio Galimberti, «Il Sole-24 Ore», 4 luglio 2004].

Lo scenario prefigurato da Cohen, della inestinguibile pluralità di monete nazionali e territoriali dentro una tendenza globale a pochi riferimenti monetari «forti», sembra quello di una moltiplicazione di regimi a doppia moneta. In ciascun territorio, alla moneta nazionale si affiancherebbe una moneta transnazionale di riferimento. Un regime, per fare un esempio semplice anche se non esatto, simile a quello vissuto in Italia durante e fino all’introduzione dell’euro come moneta unica con la contemporanea circolazione della lira. Dal 1° gennaio 1999 l’euro era la valuta legale dei Paesi aderenti all’Unione monetaria europea e sostituiva le singole valute nazionali secondo i tassi irrevocabili di conversione fissati dalle istituzioni comunitarie. Fino al 31 dicembre 2001 fu previsto un periodo transitorio durante il quale le singole valute nazionali restavano in vigore. Durante il periodo transitorio, l’euro poteva essere utilizzato solo come moneta scritturale, non essendo ammessa circolazione di monete e banconote. Al termine del periodo transitorio, le singole valute nazionali cessarono di avere corso legale, salva la possibilità, fino al 28 febbraio 2002 per la lira, di continuare ad utilizzare le monete e le banconote in circolazione (periodo di doppia circolazione). In realtà, a me sembra che un regime di doppia moneta sia quello a cui siamo già sottoposti tutti, non certo nel senso della circolazione ma in quello del valore, e dei prezzi. La invisibilità della presenza di una doppia circolazione non indebolisce certo il suo carattere operativo e cogente.

C’è stato un altro momento storico abbastanza recente in cui l’Italia ha vissuto una doppia [e tripla e quadrupla] circolazione monetaria. Nel 1943, in preparazione dello sbarco in Sicilia, gli Alleati costituirono l’AMGOT [Allied Government Occupied Territory]. Tra le varie «divisioni» a cui spettava governare il territorio, fu istituita quella finanziaria, la Financial. Le autorità alleate sapevano che nell’isola ridotta allo stremo anche le banche avevano esaurito la scorta di banconote. Fu perciò istituita una banca militare, l’Allied Military Financial Agency [AMFA} con il compito di emettere cartamoneta destinata alle spese correnti e al soldo dei militari. In tal modo, prima ancora dello sbarco, incominciarono a circolare dollari con il sigillo giallo, per distinguerli da quelli ufficiali con il sigillo blu. C’era pure uno scambio ufficiale con la lira: 100 il dollaro. Al mercato libero, il dollaro raddoppiava. Verso la fine di giugno si aggiunsero le Allied military liras, che sarebbero diventate le «AM-lire» e cominciarono a circolare sin dallo sbarco in luglio. Le Allied Military Line Currency della serie 1943 furono stampate negli Usa da due differenti tipografie, la Bureau of Engraving and Printing [BEP] e la Forbes Lithograph Corporation [FLC]. La differenza è valida solo per l’emissione del 1943. I biglietti si differenziano perché quelli della BEP sono privi di indicazioni dello stampatore, mentre quelli della FLC hanno una piccola «f» nel ricciolo inferiore destro sopra al valore. Una enorme liquidità venne immessa sul mercato con effetti inflattivi. I tagli erano da 1, 2, 5, 10, 50, 100, 500 e 1.000. Sul retro, ogni biglietto pubblicizzava le quattro libertà americane: Freedom of Speech [libertà di parola], of Religion [di fede], from Want [dal bisogno], from Fear [dalla paura]. Contemporaneamente alle AM-lire, gli inglesi fecero un analogo tentativo di emettere moneta di occupazione, pence, scellino e sterlina della British Military Authority, che però ebbero scarsa fortuna per la difficoltà che gli italiani incontrano a conteggiare una moneta suddivisa su base non decimale. I prezzi si infiammarono. A ridosso dello sbarco le banconote furono poi stampate in Tunisia, ma con la conquista di Palermo le autorità statunitensi ebbero a disposizione il Banco di Sicilia, del quale già nei preparativi dell’invasione veniva prefigurato l’impiego come Istituto di emissione. Trasformato in Banca centrale, il Banco di Sicilia guadagnò un potere enorme. Le AM-lire passarono per tutte le mani degli italiani fra il 1943 e il ’45. Quanto meno, il Sud ne fu invaso [Malaparte ne La pelle, scrive che amministravano «i cuori e i corpi»] e progressivamente i territori «liberati», mentre nella Repubblica Sociale continuavano a circolare le lire. Nel 1944 intanto la Banca d’Italia stampò la cosiddetta «serie della Luogotenenza», in cui c’erano anche i biglietti da 500 e 1.000 lire, mai messi in circolazione. Le AM-lire furono dichiarate fuori corso soltanto nel 1950, con la legge del 5 gennaio n. 3 del ministro del Tesoro. [Alfio Caruso, Arrivano i nostri, 2004, Longanesi – http://www.infol.it/monete/money.htm].

È difficile immaginare oggi un controllo totale della massa monetaria, per via della velocità dei suoi movimenti, della globalizzazione, in breve dell’emergere di un suo carattere selvaggio. C’è un carattere permanente, enduring, di «occupazione» nella selvatichezza dei movimenti della moneta finanziaria. Si attenua fortemente la differenza tra mercati interni ed esterni [almeno come li intendeva la teoria classica del ‘commercio estero’], ma si ripropone, e con approfondimento contraddittorio, la questione dei prezzi interni ed esteri, legati come sono i primi alla produzione materiale di beni e i secondi ai movimenti speculativi del plusdenaro [o del capitale finanziario]. I governi reagiscono ai movimenti monetari o tendono a impedirli, ma non possono sempre prevederli né sistematizzarli. La moneta perde vieppiù il suo carattere di rappresentazione di quantità verificate o verificabili [M1], caratterizzandosi come segno di accumulazione, e quindi di speculazione [di falsificazione] [M2, M2 estesa, derivati]. Ovvero s’è già creata una doppia moneta, una come regolatrice dei prezzi ed una come forma della ricchezza. Non esiste quindi una sola serie di valori di equilibrio [parziale o aggregato]. Esistono piuttosto serie diverse di prezzi per serie diverse di quantità [di beni, valori], e quindi l’equilibrio non è più possibile dal lato della produzione e dello scambio, e viene imposto forzosamente dal lato della circolazione [moneta]. Dai conflitti e dagli aggiustamenti tra queste due forme di moneta dipendono la maggior parte degli eventi economici che attraversano la nostra giornata lavorativa [in generale possiamo dire che la maggior parte del lavoro è pagato con moneta interna, più vile, mentre il plusdenaro – la ricchezza – si muove sulla moneta esterna]. La somma dei prezzi [con riferimento a merci e partite] d’ogni nazione è ormai inferiore rispetto la massa monetaria in movimento [in entrata e uscita] e ne mostra in alcuni casi il segno di dipendenza reale dal governo mondiale della moneta. Eppure i prezzi [e le imposte dello Stato] aumentano all’interno, anche se la massa monetaria interna viene tenuta sotto controllo, e anzi, a massa monetaria costante, l’aumento dei prezzi, senza corrispondente aumento di salari e redditi, diventa motore della crescita dei profitti e di una forte ridistribuzione della ricchezza in maniera polarizzata, attraverso anche la distruzione progressiva del risparmio [di quella parte di plusdenaro socializzatasi]. La vanificazione del risparmio [del potere del risparmio] dei lavoratori è la faccia complementare della lotta al potere dei salari. Alla stabilità della moneta come circolante interno non corrisponde la stabilità dei prezzi, in particolare di quelli delle merci immateriali che si formano su un mercato globale [e ciò rende fumoso ogni controllo sui prezzi che può essere solo interno]. La lotta all’inflazione [il controllo del deficit] più che recessione e disoccupazione provoca quindi una riappropriazione di plusdenaro da parte dei maggiori detentori d’esso. [Lavori e merci, prezzi e monete, «deriveapprodi» 12-13, 1996]

Qual è, in breve, la mia proposta? La reintroduzione della lira come «moneta nazionale», ma solo come moneta della contabilità nazionale. Non come moneta circolante. Per il circolante va bene, va benissimo l’euro, per la sua «qualità» di moneta transnazionale, di moneta della cittadinanza europea. È uno straordinario vantaggio per la mobilità dei cittadini e dei lavoratori europei quello di potersi trovare «a casa» dal punto di vista dell’acquisto di beni e di scambio in qualunque luogo europeo. Dal punto di vista della domanda l’euro funziona. Dal punto di vista «politico» l’euro funziona, e probabilmente funzionerebbe di più ancora se vissuto come un circolante dei cittadini, sottratto cioè alla BCE, al «controllo» e al potere della Banca europea centrale e dei suoi gnomi. Si dovrebbe cioè proprio invertire la storia del circolante: per i prezzi interni [e in questo senso, interna può essere considerata l’Europa come spazio politico e di diritti] ci occorre una moneta forte, che tenda a stabilizzare e equilibrare la serie dei valori e dei prezzi e quindi anche il potere d’acquisto dei salari, sottraendoli alle manovre speculative dei prezzi esteri, cioè del plusdenaro. Mentre invece si potrebbe reintrodurre la lira per i rapporti commerciali che l’Italia tiene e terrebbe con il resto del mondo [a cominciare dalle nazioni europee], con il resto delle monete. La lira insomma dovrebbe acquisire fino in fondo una sua dimensione «scritturale»: potremmo comprare e vendere in lire i nostri prodotti: la nostra bilancia commerciale se ne avvantaggerebbe. La lira dovrebbe fluttuare, a seconda delle convenienze. Dovrebbe seguire cioè una sua cambiabilità con lo stesso euro come una qualunque altra moneta e non in maniera «fissa». Nella nostra vita quotidiana questa fluttuazione non avrebbe alcun senso, e solo nella nostra vita «monetaria» acquisirebbe significato. I nostri risparmi dovrebbero essere in euro, le nostre tasse, e insomma non dovrebbe cambiare proprio nulla dal punto di vista della «contabilità sociale». Solo sui prezzi «esteri» avrebbe valore la lira, sull’acquisto e la vendita di beni, servizi, valori. Le obbligazioni e i titoli di Stato dovrebbero essere in lire. I loro rendimenti seguirebbero una doppia oscillazione [quello che, in parte, succedeva con il serpente monetario – il currency snake – dal 1972 prima dell’introduzione dello SME, il Sistema monetario europeo voluto da Francia e Germania nel 1979]: una tra la moneta «interna» [l’euro] e quella «contabile» [la lira], e una tra la lira e le monete del mondo. Io credo che potremmo ricavarne solo vantaggi. E anche i conti pubblici dovrebbero essere in lire. Forse verrà il mal di testa ai ragionieri dello Stato, ma sono pagati apposta. Se uno pensa che i «cervelloni» del Tesoro hanno partorito come proposta «creativa» quella di introdurre il biglietto da un euro invece della moneta di conio – con plauso di non pochi politici – certo prende lo sconforto, ma. Si potrebbe finanziare un ciclo virtuoso di spesa pubblica tutta in lire. E infine, penso che pure il mercato azionario, e i suoi titoli, dovrebbe svolgersi in lire. Anche ai broker verrà il mal di testa, ma pure loro sono pagati apposta. Decidere l’introduzione di una doppia moneta, ripristinare e aggiornare la lira, non contravverrebbe alcun vincolo politico europeo e non tornerebbe indietro la pax monetaria dell’euro. Per un’economia dai caratteri volatili come quella italiana è troppo penalizzante la rinuncia a una propria moneta nazionale. Non siamo la Germania e non siamo la Francia. D’altronde, la Gran Bretagna continua a mantenere la sterlina e a stare nella comunità europea. Un po’ a modo proprio, s’intende.

Bitcoin. Come funziona? (II)

Il funzionamento di Bitcoin (II) — prove e conoscenza comune

di Dusty,  il Portico Dipinto ( 17/07/2011)
In un post precedente sono stati esposti alcuni dei concetti crittografici che sono alla base del funzionamento di Bitcoin.

In questo vedremo invece una panoramica del funzionamento ad un livello più alto.

E’ necessario prima di tutto inquadrare i problemi da affrontare per implementare un sistema di transazioni monetarie completamente decentralizzato ed anonimo (o meglio, pseudoanonimo). Il problema principale è quello di riuscire ad avere una “conoscenza comune” delle proprietà della moneta. In particolare tutti devono sapere chi è il proprietario corrente di ogni unità monetaria (per evitare che qualcuno “spenda” del denaro che non gli appartiene), ma bisogna anche sapere che tutti abbiano le stesse informazioni. Ed è necessario sapere che gli altri sappiano che io so che loro sanno… e così via. Più formalmente questo tipo di conoscenza è definito in letteratura come “conoscenza comune1.

In altre parole non mi basta sapere di conoscere i proprietari di ogni moneta ma devo anche contare sul fatto che gli altri siano d’accordo con me, e sapere che io sono d’accordo con loro. Se si riesce ad arrivare ad una tale situazione allora è possibile fare in modo che facciamo tutti riferimento alla stessa storia (delle transazioni) risolvendo quindi il problema di una discordanza su chi è il proprietario di cosa, ma senza fidarsi di nessuno in particolare. Questo è il problema principale che per la prima volta Bitcoin ha risolto in maniera brillante senza dover fare affidamento ad una autorità centrale di cui fidarsi, come normalmente era sempre avvenuto.

L’innovazione chiave per risolvere questa problematica è stata quella di poter dimostrare quante operazioni si sono impiegate per produrre un certo risultato, altrimenti definito come “dimostrazione di lavoro2. In un sistema che implementa questa caratteristica è possibile avere una archivio di transazioni che dimostra avere alle spalle una certa mole di lavoro. A quel punto è sufficiente che la maggior parte degli utenti del sistema accettino come “buono” l’archivio che ha alle spalle il numero maggiore di calcoli che sono stati fatti su di esso. Questo permette di conoscere quale sia il “libro mastro”, e possiamo essere sicuri che è lo stesso usato da tutti gli altri.

Ed in definitiva questo permette di avere una prova di proprietà senza una autorità centrale.

Avendo chiaro questo concetto, una buona parte della complessità di Bitcoin comincia a diventare accessibile.

In un articolo precedente si era accennato al fatto che dei Bitcoin vengono dati in premio a chi riesce a risolvere un particolare problema matematico. Questo problema non serve solo per permettere una distribuzione iniziale delle monete, anzi, non è nemmeno il suo scopo principale. Il suo obiettivo principale invece è quello di dimostrare che un certo elenco di transazioni porta con se il maggior numero di calcoli eseguiti. Quindi se noi cominciamo a lavorare sull’ultima soluzione conosciuta (che ha un elenco di transazioni fino ad un preciso punto nel tempo) partiamo da una documentazione che al momento ha il numero maggiore di calcoli eseguiti su di essa. Il protocollo di Bitcoin specifica che è necessario utilizzare la più “grande” (cioè quella con più calcoli alle spalle), ma come si vedrà questo è nel nostro stesso interesse.

Se pubblichiamo un “aggiornamento”, cioè l’ultimo elenco delle transazioni più quelle più recenti, assieme ad una soluzione allora gli altri utenti sanno che il nostro “libro mastro” porta con se tutto l’elenco dei conti precedenti fino all’ultima soluzione più tutti quelli che abbiamo fatto noi. Di conseguenza se vogliamo reclamare il bonus (in bitcoin) per l’ultima soluzione è bene partire dal “libro mastro” che contiene l’ultima soluzione.

Vediamo quindi di riepilogare e sintetizzare una semplificazione di quello che accade in una rete bitcoin:

  1. Quando un utente vuole trasferire i propri bitcoin a qualcun altro trasmette a tutti un messaggio che contiene la transazione, cioè quanti dei propri bitcoin vanno a chi, e lo firma con la propria chiave privata.
  2. Quando un utente riceve un messaggio che identifica un trasferimento di proprietà (una transazione) come prima cosa verifica che la firma sia valida (vedere l’articolo precedente3 in proposito) e che l’indirizzo di colui che “spende” i bitcoin possieda fondi a sufficienza, cosa che può verificare sul “libro mastro”. Se le verifiche sono positive allora mantiene la transazione e la distribuisce a tutti i suoi contatti.
  3. Gli utenti che vogliono reclamare il premio per una soluzione (cioè i “minatori”) raggruppano tutte le transazioni che possiedono (cioè le nuove più quelle dell’ultimo libro mastro confermato) e creano un problema matematico unico per questo insieme. Poi cominciano a cercare una soluzione ad esso.
  4. Quando qualcuno trova una soluzione la distribuisce a tutti i suoi contatti assieme all’insieme delle transazioni a lui conosciute (cioè l’ultima versione del “libro mastro”). Come per le singole transazioni, ognuno di coloro che la riceve la verifica e, se valida, la distribuisce a tutti gli altri.
  5. I minatori che ricevono una nuova soluzione valida interrompono i calcoli che stavano facendo e prendono l’ultima versione del “libro mastro” come nuovo punto di partenza per cercare una nuova soluzione. Come definito nel punto 3) aggiungono ad esso tutte le nuove transazioni di cui sono a conoscenza e costruiscono un nuovo unico problema matematico da risolvere.

Nella pratica può succedere che a volte diversi utenti troveranno simultaneamente una soluzione e che queste si propaghino all’interno delle varie parti della rete a diverse velocità. I minatori dovranno quindi tenere tutte le ultime versioni dei “libri mastri” in attesa che uno di questi diventi più “lungo” (cioè porti con se un numero di conti maggiore) e quindi definitivo. Dal canto loro gli utenti invece aspetteranno un certo numero di nuove soluzioni dopo una certa transazione è stata accettata per essere sicuri che confermata a sufficienza.

Traducendo i concetti generali sopra esposti nel lessico tipico di Bitcoin avremmo che una nuova soluzione, con il suo blocco di transazioni vecchie e nuove, viene chiamato “blocco”. Il “libro mastro”, cioè tutto l’elenco delle transazioni, con tutte le soluzioni intermedie che dimostrano come sono costruite una sull’altra, viene chiamato “catena dei blocchi” perchè ogni blocco si collega al “libro mastro” precedente, formando quindi una catena.

Ci sono ancora molti dettagli da definire, cosa che vedremo di fare in articoli successivi, ma questo dovrebbe far capire i concetti generali del funzionamento della rete Bitcoin ed alcuni degli elementi fondamentali in gioco.

Dusty


Fonte: traduzione libera dell’articolo Bitcoin overview: proofs and common knowledge

Note:

Bitcoin. Come funziona? (I)

Il funzionamento di Bitcoin (I) — concetti di base

di Dusty, Il Portico Dipinto (15/06/2011)
Questo è il primo di una serie di articoli che mi propongo di preparare per spiegare il funzionamento di Bitcoin da un punto di vista più tecnico.

Il prerequisito per comprenderne il funzionamento è conoscere le basi della crittografia a chiave pubblica per cui ne verranno qui forniti i concetti principali.

Come prima cosa è importante capire una delle cose fondamentali: nella rete Bitcoin tutto quello che avviene è pubblico e non crittografato. In particolare il sistema funziona, e funziona bene, senza una entità centrale, proprio perchè tutte le transazioni che avvengono sono pubbliche. La privacy deriva dal fatto che le entità che effettuano le transazioni sono definite per mezzo di indirizzi Bitcoin, che sono composti da una particolare sequenza di numeri e lettere (a titolo di esempio l’indirizzo per fare donazioni a questo sito: 1DHoxhPDnLNyYtpPpG4JMenF7yLPye78Mf). Cioè un sistema del tutto analogo al funzionamento di alcune banche svizzere che utiilzzano conti “cifrati”. In realtà i conti non sono cifrati ma sono definiti semplicemente dal loro numero, senza rendere pubblico chi ne è il proprietario.

Nel momento in cui si stabilisce la proprietà di un certo indirizzo (ad esempio perchè reso pubblico, come avvenuto poco sopra) è possibile ricostruire tutte le sue transazioni, ad esempio attraverso il sito blockexplorer.com. Di conseguenza più che di anonimato dovremmo parlare di pseudoanonimato.

Il motivo per cui è importante conoscere le basi della crittografia a chiave pubblica è che alcune delle sue caratteristiche sono componenti di base in Bitcoin, ma vengono sfruttate per garantire la correttezza delle operazioni e dell’integrità del sistema, non per occultarne il contenuto.

I protocolli definiti sono stati verificati con cura dai più grandi esperti di crittografia e dalla grande comunità degli hacker di tutto il pianeta.

Primo concetto: firma digitale a chiave pubblica

In un mondo digitale come è possibile firmare visto che chiunque può mettere qualunque dato su di un dispositivo di memorizzazione?

Come una firma convenzionale, una firma digitale per essere tale deve soddisfare le seguenti caratteristiche:

  1. Prova d’identità: solo io posso produrre la mia firma, e quindi vedere la mia firma equivale ad una prova che avvallo quanto firmato.
  2. Non ripudiabilità: dopo aver firmato non posso più negare di averlo fatto.
  3. Non trasferibilità: la firma su di un documento non può essere messa su di un altro documento facendo finta che io abbia firmato quest’ultimo.

Questi tre obiettivi sono perfettamente raggiungibili in un mondo digitale, e, aggiungerei, anche in una maniera molto più sicura di quella convenzionale. Una firma tradizionale è relativamente facile da falsificare mentre una firma digitale è praticamente impossibile.

Vediamo ora come è possibile avere questo risultato: come prima cosa si generano una coppia di chiavi, una pubblica ed una privata. La chiave privata va mantenuta segreta, mentre si comunica a tutti la chiave pubblica. Si utilizza poi un algoritmo a chiave pubblica che fa parte di una determinata infrastruttura a chiave pubblica (PKI)1 che prende in input:

  1. Un messaggio che vogliamo firmare (chiamiamolo da ora in poi M1)
  2. La propria chiave privata, che chiameremo SK1

e fornisce in output una firma, che chiameremo SIG1. Le infrastrutture a chiave pubblica sono progettate in modo che il loro uso e la generazione della firma sia semplice e rapido.

A questo punto, se qualcuno vuole verificare se abbiamo veramente firmato il messaggio M1 deve solo verificare che esista una certa relazione matematica (che dipende dal tipo di algoritmo utilizzato) tra esso, la mia chiave pubblica (che appunto, è nota a tutti) e la mia firma SIG1. Anche questa operazione viene effettuata in maniera rapida e completamente automatico dalla PKI.

Cosa ci assicura che questo procedimento soddisfa le tre caratteristiche della firma di cui sopra?

Le prime due sono garantite dal fatto che è praticamente impossibile riuscire a produrre una firma SIG1 senza conoscere la chiave privata SK1. Allo stesso modo, dedurre la chiave privata SK1 dalla chiave pubblica sarebbe così dispendioso da un punto di vista computazionale che anche avendo la possibilità di utilizzare tutti i computer del mondo per questa operazione sarebbero necessari migliaia di anni di calcoli.

Di conseguenza il fatto di poter rapidamente calcolare SIG1 è la prova che possediamo la chiave privata corrispondente alla chiave pubblica e che abbiamo deciso di utilizzarla per firmare il documento M1.

Lo stesso procedimento soddisfa il criterio 3 (non trasferibilità) perchè la firma SIG1 è funzione del messaggio stesso che stiamo firmando. Questo implica che essa cambia per ogni messaggio che firmiamo e quindi la firma SIG1 del documento M1 non è valida per un differente documento M2 in quanto la relazione matematica prima indicata non sarà verificata per {M2, SIG1, chiave pubblica} ma solo per {M1, SIG1, chiave pubblica}.

Per poter verificare una firma dovremmo produrre una firma SIG2 tale che la relazione matematica {M2, SIG2, chiave pubblica} stia in piedi, ma questo è appunto impossibile per chiunque a meno di conoscere la mia chiave privata.

Evitiamo di entrare nel dettaglio dello specifico algoritmo che viene utlizzato per non appesantire la spiegazione ed anche perchè per poterne capire il funzionamento è necessario avere conoscenze matematiche (algebriche per la precisione) abbastanza avanzate. Come accenno possiamo dire questi algoritmi sfruttano le proprietà della aritmetica modulare2 e dei numeri primi. Possiamo aggiungere che per implementare una architettura a chiave pubblica si utilizza una classe di funzioni conosciuta come “funzioni unidirezionali3 4. Tali funzioni hanno queste caratteristiche:

  • Dato x, è facile calcolare f(x)
  • Dato un valore V uguale ad f(x) con x sconosciuto, è difficile trovare un x tale che f(x) = V. Detto in termini matematici è difficile invertire f.
  • Data una particolare informazione riguardo f (nel nostro caso rappresentata dalla chiave privata), diventa invece “facile” invertire f.

Quale è il ruolo giocato dalle firme a chiave pubblica in Bitcoin?

Vengono utilizzate per dimostrare alla rete di essere i proprietari di un indirizzo A1 (A1 corrisponde in effetti alla chiave pubblica) ha realmente autorizzato il trasferimento di una certa quantità di moneta a dei nuovi indirizzi. Tutti gli altri nodi della rete saranno in grado di verificare che tale trasferimento è stato autorizzato dal vero proprietario controllando la relazione matematica prima descritta tra la chiave pubblica di A1, il messaggio che descrive il trasferimento e la firma su quest’ultimo. E se i conti non tornano allora tutti i nodi, seguendo le specifiche del protocollo di Bitcoin, ignoreranno il trasferimento e non lo trasmetteranno agli altri nodi della rete, di fatto ignorandolo.

Secondo concetto: funzioni hash crittografiche

In crittografia una funzione hash5 è una funzione che prende un input di qualunque dimensione e calcola in maniera deterministica un output di lunghezza fissa basato sull’input, ma tale che la relazione tra l’input e l’output sembri “casuale”. Inoltre deve essere impossibile immaginare quale sarà il risultato dell’output o avere una qualche idea della sua caratteristica senza eseguire tutti i passi della funzione stessa.

Per dire la cosa in maniera più semplice possiamo chiamare l’output della funzione hash un “sunto” dell’input (chiamato preimage in inglese), e viene comunemente denominato anche “impronta digitale” (digest in inglese).

Un esempio (semplice, non crittografico) di funzione hash con cui si ha familiarità è quello del codice fiscale: viene costruito sulla base dei nostri dati personali. Si hanno conflitti, cioè due codici fiscali uguali, quando due persone con un nome e cognome simili sono nati nella stessa città e nello stesso giorno.

In crittografia le funzioni hash devono avere caratteristiche molto più forti. Deve essere veramente difficile riuscire a trovare una relazione tra classi di input e classi di output senza dover eseguire la funzione nella sua interezza per ogni input, cioè senza “scorciatoie”. Una conseguenza è che con una funzione hash crittografica piccoli cambiamenti dell’input non devono portare a piccoli cambiamenti dell’output. Al contrario sono progettate in modo che anche minime differenza nell’input cambiano in maniera radicale il risultato. Da un punto di vista più formale le funzioni hash crittografiche devono presentare queste caratteristiche:

  1. Dato un certo digest deve essere difficile trovare un input che dato in pasto alla funzione restituisce quel digest. Questa caratteristica viene chiamata “[first] preimage resistance6. E’ importante notare che dato che l’input (preimage) può essere arbirtrario e di qualunque lunghezza mentre l’ouput (digest, o hash) ha dimensione prefissata ci sono un numero infinito di input che danno un tale output.
  2. Dato un certo input è difficile trovare un altro input che mi fa ottenere lo stesso digest. Questa caratteristica viene definita “second preimage resistance”.
  3. In genere è difficile trovare diversi input che producono lo stesso digest. Questi casi vengono definiti “collisioni”, e questa caratteristica viene quindi definita come “resistenza alle collisioni”.

Nota bene: da un punto di vista crittografico si definisce “difficile” un processo il cui numero di passi per essere eseguito è di ordine esponenziale nella dimensione dell’input. “Facile” quando invece il numero dei passi è di ordine polinomiale.

Come esercizio per il lettore verificare come il calcolo per costruire il proprio codice fiscale non soddisfi nessuno dei tre requisiti appena descritti 🙂

Uno degli usi delle funzioni hash è quello di oscurare alcuni dati in modo da limitare l’uso che se ne può fare. Ad esempio la gran parte dei siti web (questo compreso) non memorizza la password degli utenti nel suo database, ma un “hash” della password. In questo modo possono verificare lo stesso se un utente ha la password corretta ma se qualcuno riesce ad accedere al database non riesce a conoscere le password degli utenti ma solo i loro hash, inutili allo scopo di carpire le credenziali.

Nel mondo di Bitcoin è qui che entrano in gioco i “miner”: i bitcoin, cioè le monete che vengono scambiate nella rete, vengono generate di continuo e date in proprietà a chi riesce a risolvere un particolare problema matematico. Questo problema può essere definito come chi riesce a risolvere il primo problema del “preimage resistance” descritto poco sopra.

Nella fattispecie, invece di trovare un input che corrisponda perfettamente ad un certo hash, l’obiettivo è quello di trovare un risultato “parziale”, cioè un risultato che soddisfi solo in parte un particolare hash, ad esempio solo su di un sottoinsieme dei caratteri che lo compongono. Maggiore è il numero dei caratteri che deve soddisfare il requisito, maggiore è la difficoltà a trovare il particolare input. E date le caratteristiche delle funzioni hash, l’unico modo per risolvere il problema è fare tutte le prove possibili.

Qui entra quindi in gioco uno dei parametri più importanti per i miner e cioè il numero di calcoli che si riesce ad effettuare per unità di tempo: più è alto, più velocemente si troverà una soluzione e più velocemente quindi si guadagnerà il premio in palio.

Ma per ora è tutto perchè abbiamo messo fin troppa carne al fuoco: questi sono i requisiti per capire il resto del protocollo, che approfondiremo in seguito.

Dusty


Fonte: traduzione libera dell’articolo Explaining – not setting – Bitcoin straight

Note:

Venezuela establece un sistema de circulación de monedas comunales

No sirven para ahorrar ni para hacer compras. Mucho menos para enriquecerse. Las nuevas monedas comunales, que ya circulan en Venezuela, se utilizan para facilitar las operaciones de trueque comunitario legalizadas por el Gobierno en julio de este año, como una medida para desarrollar el modelo económico de producción socialista.

El presidente Hugo Chávez aprobó el decreto ley para el Fomento y Desarrollo de la Economía Popular el 31 de julio de 2008, un día antes de que vencieran los poderes especiales que le otorgó el Parlamento para legislar durante año y medio. La norma autoriza a las comunidades, organizadas en “grupos de intercambio solidario”, a crear su propio signo monetario, darle un nombre y establecer su valor por equivalencia con el bolívar fuerte, la moneda de curso legal desde la reconversión de enero de 2008.

Las nuevas monedas únicamente podrán emplearse en el ámbito comunitario y canjearse por “saberes, bienes y servicios”, nunca por dinero corriente o por monedas de otras comunidades. El Banco Central de Venezuela está encargado de regular su emisión. Estas monedas circulan en Venezuela desde el año 2007, cuando el Ministerio para la Economía Comunal comenzó a experimentar con los mercados de trueque. Hasta hoy existen diez tipos, todas con nombres que “resaltan la identidad del pueblo”, como obliga la ley.

En el Estado de Yaracuy se usa la lionza; en Miranda, el cimarrón; en Nueva Esparta, el guaiquerí; en Trujillo, el momoy; en Falcón, el zambo; en Sucre, el paria; en Zulia, el relámpago del catatumbo; en Lara, el tamunange; en Barinas, el ticoporo; y en Monagas, el turimiquire.

Quienes utilizan los mercados de trueque solidario fueron bautizados por el Gobierno como “prosumidores”: una aleación de productor, distribuidor y consumidor, desencantado del sistema capitalista.

El presidente Chávez ejemplificó el proceso de canje en uno de sus programas Aló, Presidente: “Si yo soy productor de cambures [plátanos] y llevo mis cambures allí, y al mismo tiempo me incorporo como productor y consumidor, a lo mejor cambio mis cambures por 10 zambos y esos 10 zambos me valen para llevarme unos tomates y un pollo. Soy prosumidor, estoy incorporado a ese mercado, un mercado socialista, de iguales, no hay un capitalista que explota a los demás”.

Américo Mata, uno de los prosumidores que el mes pasado se estrenó en el uso del cimarrón, enfatizó la explicación del mandatario bolivariano: “Esto mismo lo hace el Gobierno revolucionario y el presidente Chávez con el mega trueque, que es darle petróleo a nuestros países hermanos para recibir a cambio maquinarias que fortalezcan la soberanía alimentaria”.

El ex director del Banco Central de Venezuela (2000-2007), Domingo Maza Zavala, sostiene se ha mostrado muy crítico con la decisión de Chávez, ya que, en su opinión, es ilegal la emisión de nuevas monedas al margen del sistema monetario establecido: “Si el Banco Central se atiene a su propia ley, no puede emitir otra moneda distinta del bolívar fuerte. Quien se niegue a aceptar la moneda con fuerza legal de circulación en Venezuela como medio de pago también viola la ley”.

Para Maza Zavala, las monedas comunales representan un retroceso al siglo XIX, cuando los peones de las haciendas venezolanas recibían su pago en fichas que sólo eran válidas en las bodegas de sus patrones.

Ronald Balza, profesor e investigador de la Universidad Central de Venezuela, considera que, con esta ley, Chávez pretende imponer algunos aspectos del proyecto de reforma constitucional vetado en el referendo de diciembre de 2007, que establecía la creación de “ciudades comunales” socialistas.

“La propuesta de reforma constitucional era crear células geohumanas: ya no de grupos de personas sobre un territorio, sino ciudadanos amarrados a ese territorio. Si a la comuna se le asignan unas tareas de producción y hay monedas que sólo se pueden utilizar dentro de la comuna, el sistema se cae si alguien se sale de la comuna”, agrega el investigador universitario. “Es una manera”, prosigue, “de controlar los precios y de obligar a las personas a realizar sus transacciones en el lugar en el que vive, sin posibilidad de salir de allí”, concluye Ronal Balza.

Otros economistas plantean que las monedas comunales pueden incidir en el crecimiento de la inflación. El principal problema radica en que puede darse el caso de que aumenten los medios de pago pero no la oferta de bienes.

En la actualidad, el índice inflacionario de Venezuela es el más alto de América Latina: 19,4% acumulada en lo que va de 2008, y 34,5% interanual, en el periodo que va de agosto de 2007 a agosto de 2008.

Lenguaje del intercambio comunal

La Ley para el Fomento y Desarrollo de la Economía Popular, además de un nuevo sistema de producción del Gobierno de Venezuela, establece un nuevo lenguaje para definir el intercambio comunal.

Estos son los términos que, según el artículo 5 de la ley, deberán manejar las comunidades que quieran incorporarse al modelo y poder, así, disponer de su propia moneda.

» Modelo socioproductivo comunitario: sistema de producción, transformación, distribución e intercambio socialmente justo de saberes, bienes y servicios de las distintas formas organizativas surgidas en la comunidad.

» Trabajo colectivo: actividad organizada y desarrollada por los miembros de las distintas formas organizativas, basada en relaciones de producción no alienada, propia y auténtica.

» Brigadas de producción, distribución y consumo: grupo de personas que desarrollan una actividad y que apoyan recíprocamente a otros semejantes, garantizando el equilibrio justo de las actividades socioproductivas para el desarrollo y fomento de la economía popular.

» Prosumidores: se refiere a las personas que producen, distribuyen y consumen bienes o servicios y participan voluntariamente en los sistemas alternativos de intercambio solidario, con espíritu social, para satisfacer sus necesidades y las de otras personas de la comunidad.

» Trueque comunitario directo: es la modalidad de intercambio directo de saberes, bienes y servicios con valores mutuamente equivalentes, sin necesidad de un sistema de compensación o mediación.

» Trueque comunitario indirecto: es la modalidad de intercambio directo de saberes, bienes y servicios con valores distintos que no son mutuamente equivalentes. Requieren de un sistema de compensación o de mediación, a fin de establecer de manera explícita relaciones equivalentes entre dichos valores diferentes.

» Mercados de trueque comunitario: son espacios locales destinados periódicamente al intercambio justo y solidario de saberes, bienes y servicios.

Fuente: “El País” (España), 12 sept 2009

Sistema de trueque se inició en Quíbor, Venezuela

El sistema de trueque como forma de pago comenzó en Quíbor tras una asamblea en la que participaron delegados de los municipios Iribarren, Jiménez, Morán y Andrés Eloy Blanco.

La Alcaldía del municipio Iribarren emitió un comunicado de prensa para explicar que el proyecto denominado Saquito Larense tiene como finalidad promover el intercambio comercial sin recurrir al dinero de uso oficial.

La iniciativa es coordinada por el politólogo Gerardo González, director de la Oficina Técnica de Estadística y Cooperación Internacional de la Alcaldía de Iribarren, y Ciro Aldana, vocero operativo del sistema de trueque promovido en todo el país por el Ministerio de las Comunas.

Gerardo González explicó que en Lara se espera que el resto de los municipios participen en este proceso, tomando las experiencias de Yaracuy y otros estados donde desde hace algún tiempo se aplica.

En el sistema de trueque participan los consejos comunales y otras organizaciones sociales mediante las cuales se trata de integrar a las empresas socialistas creadas por disposición presidencial, informó González.

Ciro Aldana destacó: “Esta propuesta se trata de una nueva economía solidaria en la cual no tiene cabida el capitalismo mediante la utilización comercial del dinero tradicional, sino que se intercambian solidariamente productos por una moneda comunal. Por esta razón, en Lara se busca que el sistema pueda crecer y consolidarse desde adentro hacia afuera y que sus beneficios lleguen a todos los sectores de la entidad mediante la figura de facilitadores”, aclaró.

Fuente: EconomiaSolidaria.org, 19/06/2009

Banco Central de Venezuela realiza encuentro sobre los sistemas alternativos de intercambio solidario, trueque y monedas comunales

El Banco Central de Venezuela sirvió de facilitador de un encuentro sobre los sistemas alternativos de intercambio solidario, trueque y monedas comunales, para conocer las experiencias que se han venido desarrollando en el país al respecto.

Luego del seguimiento y la investigación que a nivel teórico y conceptual ha venido realizando el BCV sobre el uso de la moneda comunal en distintos países y en el caso particular de Venezuela, el emisor participó en una reunión con representantes del Ministerio del Poder Popular para la Economía Comunal, el Instituto Nacional para el Desarrollo de la Pequeña y Mediana Industria y representantes de los sistemas alternativos de intercambio solidario existentes en el país.

La mesa redonda se llevó cabo en el Centro Cultural Salvador de la Plaza y fue presidida por José Félix Rivas, Director del BCV, quien destacó que el instituto emisor tiene un rol en la promoción y fortalecimiento de este tipo de iniciativas que han surgido ante la nueva institucionalidad vigente en el país desde hace diez años y que forman parte de una nueva estrategia de desarrollo, y en el caso específico de la llamada economía solidaria, donde lo social y humano se imponen a lo mercantil. Además de las atribuciones que le confiere el marco legal en lo que respecta a la regulación de la moneda comunal dentro del ámbito de su competencia, el BCV puede contribuir a la investigación y defensa de estas experiencias, incluyendo la ampliación, sistematización y mejoramiento las estadísticas disponibles sobre el sector.

“El caso de la moneda comunal es una forma inédita como mecanismo de intercambio, en un modelo que está basado en principios de solidaridad y cooperación, donde predominan las necesidades de la gente por encima de las del mercado. No se impone la lógica del valor de cambio sino la del valor de uso”, dijo Rivas Alvarado. En este sentido, recordó que la experiencia se ha venido cumpliendo a nivel nacional desde hace varios años, donde el emisor apoyó en la conceptualización de la Ley sobre esta materia, que permite la complementación entre monedas locales y la moneda nacional y demuestra que es posible que puedan coexistir en una relación de sinergia, que permita apoyar un modelo de desarrollo donde los valores humanitarios se impongan sobre los comerciales.

Por su parte, Francis Rodríguez, coordinadora general de la Oficina de Organizaciones Socio productivas Comunitarias del Ministerio del Poder Popular para la Economía Comunal, explicó que esta idea se materializa en base al artículo 30 de la Ley para el Fomento y Desarrollo de la Economía Popular. “Nos corresponde hacer el seguimiento y control de las nuevas formas de organización socio productivas que establece la Ley y entre ellas los grupos de intercambio o de trueque. Hemos ayudado a facilitar, fortalecer y fomentar este tipo de organizaciones a través de talleres y dinámicas de grupo, para que trabajen en colectivo y mejoren y diversifiquen sus espacios de intercambio”.

Rodríguez hizo un llamado a las comunidades del país a organizarse en este tipo de iniciativas que surgen como una alternativa para cubrir las necesidades humanas de bienes, productos y saberes, vistas de una manera diferente para su satisfacción. Los interesados deben acudir a Inapymi que es el organismo de ejecución con que cuenta el Ministerio.

Verónica Cayvet, gerente general de financiamiento y preinversión de Instituto Nacional para el Desarrollo de la Pequeña y Mediana Industria, participante en la Mesa Redonda, recordó que esta experiencia existe en otros países del mundo y respetando las particularidades de cada una, al Presidente de la República Bolivariana de Venezuela, Comandante Hugo Chávez Frías se le ocurrió invitar a la población a adentrarse en este tipo de experiencia.

“Inicialmente fue Inapymi quien asumió el primer abordaje a las comunidades para tratar de llevarles este conocimiento, iniciativa a la que se han sumado otras instituciones del Estado. Los prosumidores y prosumidoras, como se denominan a los productores y consumidores, van adaptando las características propias de cada comunidad a la iniciativa, con el respeto genuino a las ideas y aportes de cada localidad. De allí que cada día son más las localidades que se suman a esta iniciativa. El pueblo venezolano siempre ha sido solidario con un gran sentido progresista. De allí que este es un espacio idóneo y una experiencia interesante donde todos los venezolanos que deseen participar pueden poner de manifiesto sus cualidades. Se busca que los que ya existen se sigan consolidando y se sumen nuevos prosumidores y prosumidoras a esta iniciativa. Se busca que el éxito de esta política sirva para incorporar cada vez más espacios.”

La representante de Inapymi aplaudió la iniciativa del Banco Central por este intercambio de experiencias.

En la mesa redonda participaron además los representantes de las monedas comunales Turimiquire (subregión Anzoátegui, Monagas y Sucre), Socopó (Barinas), Zambo (Falcón), Tamunangue (Lara), Cimarrón (Miranda), Guaiquerí (Nueva Esparta), Paria (Sucre), Momio (Trujillo), Lionza (Yaracuy) y Relámpago (Zulia), quienes coincidieron en que la experiencia ha sido maravillosa, ha permitido integrar a las comunidades; participan con alegría los productores, productoras, artesanos y cultores y se da un sistema de intercambio de relaciones humanas, solidaridad y saberes, lo que les permite mantenerlos organizados y fortalecer sus proyectos, que enriquecen a todos los que participan en esta actividad y, en fin, es un medio para favorecer las necesidades de la población y no para acumular ganancias.

En el marco de este evento, el instituto emisor ofreció a los invitados una visita guiada por la exposición “Bolívar Fuerte: Arte e Industria”, que estará abierta al público hasta el 27 de febrero de 2009.

Fuente: Nota de Prensa del Banco Central de Venezuela, 16 de enero de 2009

Moneda Comunal como dinero

Por: Miguel Cortez

En el proceso de avance hacia el socialismo, además de los ajustes requeridos por el marco jurídico propiamente dicho, resalta la reforma de las normas que regulan la actividad económica con la finalidad de crear y sostener nuevas formas de organizaciones socioproductivas que surgen en el seno de las comunidades.

En el marco de la Ley Habilitante, la Ley para el Fomento y Desarrollo de la Economía Popular (LFDEP) publicada en la Gaceta Oficial de la República Bolivariana de Venezuela 5.890 el 31 de julio del presente año tiene por objeto instaurar las modalidades y formas asociativas que potenciarán el control y desenvolvimiento de las actividades de la economía popular y el establecimiento de un nuevo sistema de producción, transformación y distribución de saberes, bienes y servicios entre las comunidades organizadas en la búsqueda del desarrollo humano integral y sustentable.

Este modelo socioproductivo y sus formas de organización popular se sustentan en las relaciones de producción solidarias de la comunidad como herramientas impulsoras del desarrollo integral del país. En consecuencia, se fomentará la economía popular sobre la base de proyectos surgidos de las comunidades organizadas y del intercambio de saberes, bienes y servicios para la reinversión del excedente en la satisfacción de las necesidades sociales.

Una de los instrumentos básicos de este modelo socioproductivo lo constituye la Moneda Comunal (MC) la cual permitirá y facilitará el intercambio de saberes, bienes y servicios en los espacios del Sistema de Intercambio Solidario (SIS).

Esta moneda se regulará por las normas impartidas por el BCV y su valor se determinará por la equivalencia con la moneda de curso legal en el territorio nacional. Esto significa que en cada ámbito territorial donde funcione un Grupo de Intercambio Solidario (GIS) regirá una moneda particular, aceptada por sus integrantes como medio de intercambio entre ellos.

La MC cumplirá con las funciones del dinero como instrumento general de cambios para lo cual solo requiere la aceptación de los participantes en el GIS. Los miembros del GIS podrán intercambiar su producción por la MC y utilizarla para intercambios futuros.

La MC permite la especialización de cada productor-consumidor y elimina el uso de la moneda de circulación legal; reduciendo los costos asociados a toda transacción.

Por tanto, la MC servirá como portador de valor o propiedad del dinero de conservar el valor en el tiempo y en el espacio, basado en la confianza de que mantendrá el mismo valor o poder adquisitivo en el futuro.

De esta manera la MC funcionará como un instrumento de pagos diferidos, porque permitiría posponer el pago de una deuda u obligación adquirida en el presente. Como unidad de cuenta la MC actuará como un común denominador que expresa el valor de cada saber, bien o servicio permitiendo de éstos se equiparen entre sí, a través de la equivalencia de los precios en moneda de curso legal.

Se aspira que con la incorporación de la comunidad organizada al SIS la economía popular y nacional repunte de manera integral y solidaria. HASTA OTRO ENFOQUE.

cortezuno(arroba)gmail(punto)com

Fuente: Aporrea.org, 16/08/2008

http://www.aporrea.org/poderpopular/a62235.html

Crean La Lionza para mercado del trueque

“El Universal” 21.06.2007

En
Urachiche, Yaracuy, se realizó el Mercado Comunitario del Trueque en el
que campesinos, cooperativas y pequeños comerciantes intercambiaron
bienes, servicios y productos autóctonos.

El presidente del
Instituto Nacional de Desarrollo de la Pequeña y Mediana Industria
(Inapymi), Américo Mata, destacó que no se busca sustituir el valor de
la moneda. “La idea es que participe el pueblo, que se dé un
intercambio humanista, socialista. No se trata de eliminar el dinero”.

En
este sistema, los participantes ofrecen bienes y servicios y como
contraprestación reciben una moneda simbólica e intercambiable por
otros productos.

Mata explicó que es una alternativa al capitalismo y que este método tiene factibilidad a pequeñas escalas.

“La
Lionza” es la moneda comunitaria, cuyo nombre fue elegido por voluntad
popular a través de una asamblea del grupo del trueque, y se utiliza
como facilitador de intercambio, pues no es acumulativa y tiene
vigencia por tiempo determinado. María Arismendi, una de las
organizadoras de la actividad, explicó que “La Lionza” no es una moneda
comercial, “sólo se puede intercambiar en el mercado del trueque”.

El
comunicado de prensa de Inapyme señala que esta es una propuesta de una
nueva economía no condicionada por el dinero, caracterizada por ser
justa, que fomenta la cooperación en vez de la competencia.